COSI´ SCOMPARE L´ANTIDOPING DELLA SANITA´
05-03-2010 - News generiche
Come ogni anno, la Cvd, la commissione per il controllo sulla legge antidoping (376/2000) ha presentato al Parlamento il suo rapporto stagionale. I dati si riferiscono al 2008 e sono - secondo quanto riporta lo stesso Ministero della salute - preoccupanti. Molto preoccupanti perché, mentre il fenomeno doping cresce in ragione geometrica, come evidenziano le cifre sul mondo degli amatori e dei master, i due settori sui quali si è concentrata l´attività della commissione, i controlli diminuiscono di numero per i soliti problemi di taglio di fondi e contemporaneamente aumentano le positività. Positività gravi, pesanti: fatte di anabolizzanti e ormoni principalmente, cioè il doping più duro e crudo. In poche parole: una situazione allarmante perché parliamo della fascia di praticanti più numerosa dello sport nostrano (sono milioni gli amatori nelel varie discipline), il vero "mercato" del doping, come prova la pioggia di sequestri fatta registrare anche in questa stagione dalle forze dell´ordine: Nas, Polizia, Guardia di Finanza, ecc.
La Commissione lamenta il taglio di fondi. Non ce la fa più ad andare avanti. Si fa riferimento a decurtazioni dell´ordine del 20%, che - recita il rapporto al Parlamento - "si vanno ad aggiungere a quella operata nell´esercizio finanziario corrente ammontante ad un ulteriore 30%". Come dire che la Cvd non è più in grado di "garantire neppure il minimo delle attività di prevenzione, contrasto, ricerca e informazione sul fenomeno doping, proprio nel momento in cui si stanno ottenendo i primi tangibili risultati in termini di interventi e di maggiore conoscenza della preoccupante diffusione del doping soprattutto nello sport amatoriale".
Suona l´allarme rosso. E, crisi o non crisi, c´è da domandarsi come si sia potuti arrivare a tanto. Se il doping è un problema ormai di portata sociale, vista la sua enorme diffusione specie nelle fasce più basse della pratica; un vero e proprio problema di salute pubblica come riconoscono gli esperti, che senso ha non dotare l´unica struttura del ministero che fa fronte a questo problema del minimo indispensabile per sopravvivere? La già asfittica attività di controllo e prevenzione della Cvd rischia il blocco totale, rendendo vani gli sforzi messi in campo in questi anni da una legge che comunque è stata positiva perché ha permesso, grazie sopratutto alle intercettazioni, di smascherare le dimensioni di un fenomeno neppure immaginato. E qui c´è da riflettere sulle strategie di uno Stato che taglia perfino l´indispensabile: scuola, sanità (appunto), istruzione, sicurezza, ma continua a foraggiare lo sport di vertice con cifre milionarie. Nel valzer indiscriminato dei tagli solo il Coni ha potuto avere perfino un "ritocco" in alto da 950 a 955 milioni nella finanziaria. Soldi "giusti" perché si tratta dell´unico ente che si occupa seriamente dello sport in Italia, anche se, com´è evidente, la bilancia delle spese è troppo squilibrata verso il vertice. Semmai si tratterebbe, appunto, di orientare meglio gli interventi, specie in momenti di crisi come questo. Tanto più se poi i problemi della base finiscono poi per diventare anche problemi del vertice. Vedi i numerosi scandali-doping che non hanno risparmiato nessuno sport negli ultimi tempi.
Il Coni dal canto suo tiene in piedi attraverso la FMSI la federazione medici sportivi l´unico laboratorio italiano accreditato dal Cio, il comitato olimpico internazionale. Un laboratorio molto tecnologico e avanzato; che lavora in convenzione (onerosa) con la Cvd. Possibile che fra tanti milioni di euro destinati allo sport non si trovi il minimo per finanziare questa attività preziosa per la salute e si lasci soffocare l´unica struttura che controlla il mondo amatoriale e giovanile? Se antidoping è uguale a tutela della salute, perché si riduce quasi a zero l´attività di prevenzione e controllo della Cvd? Quali sono le priorità che valgono più della tutela della salute pubblica?
Agli epigoni dello sport di vertice lasciamo per carità di patria ogni considerazione sul flop delle recenti Olimpiadi. Un fallimento che dice di un "modello Italia" - basato prevalentemente sulla prestazione - ormai consunto e non più in grado neppure di garantire il minimo ricambio per quelle medaglie che fino ad ora servivano come giustificazione per l´intero carrozzone sportivo. Un modello asfittico, come l´antidoping della Cvd. Prendete l´atletica, la "madre" di tutti gli sport. Che futuro può esserci se i giovani non fanno il minimo passo in avanti, sia come numero che come qualità? Per il numero basta guardare l´evidente crisi dei tesserati rispetto agli anni d´oro; per la qualità i record giovanili, quelli delle categorie sotto i 23 anni. Sono vecchi di 22 anni in media, con la "perla" di 38 anni del primato giovanile sui 200 che appartiene ancora a Pietro Mennea dal 1972 (20"30). Quello più recente (unico) è il salto in lungo di Howe 8,41 nel 2006. Per il resto nulla che risalga a dopo il 1998. Vuol dire che in questi anni non si è seminato, oppure si è seminato male. Molto male pur con un ente capace di "girare" dai 1000 ai 1200 miliardi di vecchie lire ogni stagione. E il discorso potrebbe essere comune a tante altre discipline.
I dati del rapporto Cvd sono davvero preoccupanti, ancorché basati sui piccoli numeri che i controlli rarefatti su poche discipline (ciclismo, calcio, nuoto, principalmente) hanno consentito. 39 positivi su 955 controlli (se si pensa alle centinaia di migliaia di giornate-gara ogni stagione, ci si rende conto della reale incisività del sistema di controllo...): ci si dopa di più delle scorse stagioni: il 4,1% delle positività contro il 2,7% del 2003. Ci si dopa con prodotti "pesanti" e pericolosissimi; il 25% delle positività riguarda gli anabolizzanti che possono avere serissime ripercussioni su fegato (tumore) e cuore. Il 25,4% riguarda gli ormoni come l´eritropoietina, che aumenta la produzione dei globuli rossi del sangue consentendo i migliorare le prestazioni, ma provoca trombosi, infarti, e, in alcuni casi anche leucemie. Insomma un doping pesante e pericolosissimo a fronte di controlli fortemente sbilanciati verso il nord (53%); fatti quasi esclusivamente in manifestazioni e gare, mentre la stessa Wada, l´agenzia mondiale antidoping, raccomanderebbe soprattutto test fuori competizione e concentrati nei primi mesi dell´anno (marzo) piuttosto che nel culmine della stagione sportiva. La palma dello sport più dopato va ovviamente al ciclismo con 26 casi su 219 test; l´11,8%; mentre il calcio, che però, pur essendo lo sport più praticato, ha avuto solo 96 controlli si attesta sul 2% circa. Insomma l´immagine, sia pure embrionale, di uno sport dopato alla base; dopato come tutta la nostra società. Un fenomeno di fronte al quale ci si limita ad alzare le braccia e a tagliare fondi.
A questa situazione precaria si aggiunge la confusione che regna alla base. A cominciare dai dirigenti sportivi. Succede, ad esempio, che ad una corsa ciclistico-amatoriale sul litorale laziale, si presenti con tanto di tesserino autentico di un ente che va per la maggiore, un tizio, L.N. che risulta squalificato per doping fino al 29 agosto del 2011. Alle (giuste) rimostranze del giudice di gara ribatte che la tessera l´ha avuto dall´ente con l´assicurazione che può correre, perché la squalifica è stata data dall´Udace (ente sportivo diverso dal primo) e che dunque non avrebbe valore per le corse organizzate da un ente diverso. Assurdità, ovviamente. E bene ha fatto il giudice di gara a non accettare l´iscrizione del tizio squalificato. Ma resta appesa la domanda: con quale leggerezza vengono concesse tessere dagli enti, se non ci si preoccupa, al momento del tesseramento, neppure di verificare quali e quanti siano gli atleti squalificati? Un´operazione che su internet rich
iede solo pochi minuti. Non sarà che per la bramosia di un tesserino in più, di un numero in più, si chiudono tutti e due gli occhi? Un dirigente dell´ente in questione, cui è stato riferito l´episodio, ha ammesso che tutto cio "può succedere"; che potrebbe trattarsi una una "leggerezza". Che avrebbe provveduto subito. Intanto, però, l´immagine è finita tranquillamente nel fango.
Fonte: www.sportpro.it
La Commissione lamenta il taglio di fondi. Non ce la fa più ad andare avanti. Si fa riferimento a decurtazioni dell´ordine del 20%, che - recita il rapporto al Parlamento - "si vanno ad aggiungere a quella operata nell´esercizio finanziario corrente ammontante ad un ulteriore 30%". Come dire che la Cvd non è più in grado di "garantire neppure il minimo delle attività di prevenzione, contrasto, ricerca e informazione sul fenomeno doping, proprio nel momento in cui si stanno ottenendo i primi tangibili risultati in termini di interventi e di maggiore conoscenza della preoccupante diffusione del doping soprattutto nello sport amatoriale".
Suona l´allarme rosso. E, crisi o non crisi, c´è da domandarsi come si sia potuti arrivare a tanto. Se il doping è un problema ormai di portata sociale, vista la sua enorme diffusione specie nelle fasce più basse della pratica; un vero e proprio problema di salute pubblica come riconoscono gli esperti, che senso ha non dotare l´unica struttura del ministero che fa fronte a questo problema del minimo indispensabile per sopravvivere? La già asfittica attività di controllo e prevenzione della Cvd rischia il blocco totale, rendendo vani gli sforzi messi in campo in questi anni da una legge che comunque è stata positiva perché ha permesso, grazie sopratutto alle intercettazioni, di smascherare le dimensioni di un fenomeno neppure immaginato. E qui c´è da riflettere sulle strategie di uno Stato che taglia perfino l´indispensabile: scuola, sanità (appunto), istruzione, sicurezza, ma continua a foraggiare lo sport di vertice con cifre milionarie. Nel valzer indiscriminato dei tagli solo il Coni ha potuto avere perfino un "ritocco" in alto da 950 a 955 milioni nella finanziaria. Soldi "giusti" perché si tratta dell´unico ente che si occupa seriamente dello sport in Italia, anche se, com´è evidente, la bilancia delle spese è troppo squilibrata verso il vertice. Semmai si tratterebbe, appunto, di orientare meglio gli interventi, specie in momenti di crisi come questo. Tanto più se poi i problemi della base finiscono poi per diventare anche problemi del vertice. Vedi i numerosi scandali-doping che non hanno risparmiato nessuno sport negli ultimi tempi.
Il Coni dal canto suo tiene in piedi attraverso la FMSI la federazione medici sportivi l´unico laboratorio italiano accreditato dal Cio, il comitato olimpico internazionale. Un laboratorio molto tecnologico e avanzato; che lavora in convenzione (onerosa) con la Cvd. Possibile che fra tanti milioni di euro destinati allo sport non si trovi il minimo per finanziare questa attività preziosa per la salute e si lasci soffocare l´unica struttura che controlla il mondo amatoriale e giovanile? Se antidoping è uguale a tutela della salute, perché si riduce quasi a zero l´attività di prevenzione e controllo della Cvd? Quali sono le priorità che valgono più della tutela della salute pubblica?
Agli epigoni dello sport di vertice lasciamo per carità di patria ogni considerazione sul flop delle recenti Olimpiadi. Un fallimento che dice di un "modello Italia" - basato prevalentemente sulla prestazione - ormai consunto e non più in grado neppure di garantire il minimo ricambio per quelle medaglie che fino ad ora servivano come giustificazione per l´intero carrozzone sportivo. Un modello asfittico, come l´antidoping della Cvd. Prendete l´atletica, la "madre" di tutti gli sport. Che futuro può esserci se i giovani non fanno il minimo passo in avanti, sia come numero che come qualità? Per il numero basta guardare l´evidente crisi dei tesserati rispetto agli anni d´oro; per la qualità i record giovanili, quelli delle categorie sotto i 23 anni. Sono vecchi di 22 anni in media, con la "perla" di 38 anni del primato giovanile sui 200 che appartiene ancora a Pietro Mennea dal 1972 (20"30). Quello più recente (unico) è il salto in lungo di Howe 8,41 nel 2006. Per il resto nulla che risalga a dopo il 1998. Vuol dire che in questi anni non si è seminato, oppure si è seminato male. Molto male pur con un ente capace di "girare" dai 1000 ai 1200 miliardi di vecchie lire ogni stagione. E il discorso potrebbe essere comune a tante altre discipline.
I dati del rapporto Cvd sono davvero preoccupanti, ancorché basati sui piccoli numeri che i controlli rarefatti su poche discipline (ciclismo, calcio, nuoto, principalmente) hanno consentito. 39 positivi su 955 controlli (se si pensa alle centinaia di migliaia di giornate-gara ogni stagione, ci si rende conto della reale incisività del sistema di controllo...): ci si dopa di più delle scorse stagioni: il 4,1% delle positività contro il 2,7% del 2003. Ci si dopa con prodotti "pesanti" e pericolosissimi; il 25% delle positività riguarda gli anabolizzanti che possono avere serissime ripercussioni su fegato (tumore) e cuore. Il 25,4% riguarda gli ormoni come l´eritropoietina, che aumenta la produzione dei globuli rossi del sangue consentendo i migliorare le prestazioni, ma provoca trombosi, infarti, e, in alcuni casi anche leucemie. Insomma un doping pesante e pericolosissimo a fronte di controlli fortemente sbilanciati verso il nord (53%); fatti quasi esclusivamente in manifestazioni e gare, mentre la stessa Wada, l´agenzia mondiale antidoping, raccomanderebbe soprattutto test fuori competizione e concentrati nei primi mesi dell´anno (marzo) piuttosto che nel culmine della stagione sportiva. La palma dello sport più dopato va ovviamente al ciclismo con 26 casi su 219 test; l´11,8%; mentre il calcio, che però, pur essendo lo sport più praticato, ha avuto solo 96 controlli si attesta sul 2% circa. Insomma l´immagine, sia pure embrionale, di uno sport dopato alla base; dopato come tutta la nostra società. Un fenomeno di fronte al quale ci si limita ad alzare le braccia e a tagliare fondi.
A questa situazione precaria si aggiunge la confusione che regna alla base. A cominciare dai dirigenti sportivi. Succede, ad esempio, che ad una corsa ciclistico-amatoriale sul litorale laziale, si presenti con tanto di tesserino autentico di un ente che va per la maggiore, un tizio, L.N. che risulta squalificato per doping fino al 29 agosto del 2011. Alle (giuste) rimostranze del giudice di gara ribatte che la tessera l´ha avuto dall´ente con l´assicurazione che può correre, perché la squalifica è stata data dall´Udace (ente sportivo diverso dal primo) e che dunque non avrebbe valore per le corse organizzate da un ente diverso. Assurdità, ovviamente. E bene ha fatto il giudice di gara a non accettare l´iscrizione del tizio squalificato. Ma resta appesa la domanda: con quale leggerezza vengono concesse tessere dagli enti, se non ci si preoccupa, al momento del tesseramento, neppure di verificare quali e quanti siano gli atleti squalificati? Un´operazione che su internet rich
iede solo pochi minuti. Non sarà che per la bramosia di un tesserino in più, di un numero in più, si chiudono tutti e due gli occhi? Un dirigente dell´ente in questione, cui è stato riferito l´episodio, ha ammesso che tutto cio "può succedere"; che potrebbe trattarsi una una "leggerezza". Che avrebbe provveduto subito. Intanto, però, l´immagine è finita tranquillamente nel fango.
Fonte: www.sportpro.it
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